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WILL THE ECONOMY SURVIVE TO CORONAVIRUS?

The expansion of the coronavirus in several countries is increasing. The combination of restrictive measures, production stoppage and spontaneous consumer panic is paralyzing economic activity. The effects on the world economy could be massive.

Several industries in the north of Italy are closing. This will cause an interruption of production in several plants of the production chain of these companies. The first negative impact to the economy comes from a negative supply shock, resulting from a reduction in the supply of work: people do not go to work anymore and the supply chain slows down. But in a vertically integrated international economy the repercussions between countries and sectors could be strong.

Given its production structure, the Italian economy is particularly fragile in this scenario. In driving sectors such as mechanical manufacturing, tourism or catering, it is impossible to compensate for the reduction in the supply of work and the lower production through smart working.

Even in the high-tech sectors, on the other hand, smart working cannot be a perfect substitute for work based on physical proximity. Here the physical proximity of people is a crucial driving force for innovation and the production of ideas. Over time, the limitation of the moments of aggregation will have a negative effect on productivity, on the efficiency with which capital and labor are combined, amplifying the negative shock on the supply side.

The peculiarity of the coronavirus, however, is in combining a shock on the supply side with an increase in uncertainty. And it is that particular type of uncertainty associated with limited knowledge, such that it is impossible to describe the existing state or future outcomes. The uncertainty paralyzes demand, pushes to postpone consumption and reinforces precautionary savings.

There is much discussion about what responses monetary policy can do to avoid a recession. The scenario, is particularly delicate for central banks, which are almost everywhere close to the zero lower bound.

To understand what constraints the central bank is facing, it is crucial to quantify the supply component compared to the demand component of the shock. A supply shock reduces production and investment, but tends to exert an upward effect on prices. A rise in inflation, paradoxically, makes the zero rate constraint less stringent; because it pushes down real interest rates, let starting an expansionary monetary policy without the central bank having to move nominal rates down.

When nominal rates are stuck at zero, or they are even below zero, demand shocks are problematic, because they move economic activity and inflation in the same direction, downwards. Falling inflation, with nominal rates at zero, raises real rates, making the monetary policy response involuntarily restrictive.

If coronavirus destroys international value chains, there is little monetary policy can do. But at least, in the shock supply scenario, the monetary policy of zero interest rates does not automatically tend to aggravate the situation.

The real dilemma for monetary policy derives from the contraction of demand induced by uncertainty, which is unlikely to be solved with the lowering of interest rates. There could be a paralysis of the economy caused by the freezing of the credit market and by the fall of liquidity: companies that are struggling to repay loans because they have had to suspend production and are unable to meet orders already listed represent the offer side. Or they quickly see orders and reservations drop. This is the deman side. In turn, this domino tends to reflect on the credit system, in a financial crisis scenario.

If the economic system, tightened in the grip of supply and demand that tends, tends to paralysis, it is crucial that monetary policy thinks about instruments that guarantee its functioning. The level of interest rates cannot make the difference this time. It is necessary to ensure greater liquidity for banks, but to constrain it to the supply of credit to those efficient companies which, however, risk freezing for reasons independent of their productivity.

For the moment, the most important thing is to finish the pandemia and to start living the normal life. But what will remain after in the economy, could be even worst.

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La crisi di Deutsche Bank e la scelta di Draghi che fa discutere

La crisi di Deutsche Bank, da sempre traballante, sta facendo rumore in questi ultimi giorni. In particolare in seguito alla decisione dell’uscente presidente della BCE Mario Draghi: i tassi resteranno negativi e può essere che in futuro ci sarà un nuovo quantitative easing.

La politica monetaria espansiva della BCE non si ferma dunque. E questo da fastidio a tutti quegli economisti che ritengono che i tassi negativi siano una spina nel fianco per le banche. Infatti tutte le banche devono pagare degli interessi alla BCE se tengono eccessiva liquidità. Questo però in passato era nato dall’esigenza di far sì che i capitali si muovessero.

Quali sono i veri problemi di Deutsche Bank?

Deutsche Bank ha realizzato un solo profitto annuale dal 2014. All’inizio di questo mese la banca ha annunciato piani per eliminare 18.000 posti di lavoro nell’ambito di un nuovo sforzo per arginare perdite.

Le azioni quotate al NYSE di Deutsche Bank hanno superato $ 124 a maggio 2007, all’inizio della crisi finanziaria globale. Sebbene alcune grandi banche non siano riuscite a tornare ai massimi storici, perlomeno molte si sono avvicinate. Deutsche Bank, d’altra parte, è quotata a $ 8, o più del 90% al di sotto dei massimi pre-crisi.

La maggior parte di tali perdite si è verificata ben prima che il capo della BCE Mario Draghi lanciasse tassi negativi nel giugno 2014 nel tentativo di accelerare l’economia europea e prevenire la deflazione. Ma le cose non sono cambiate neppure dopo.

Le azioni di Deutsche Bank sono precipitate del 77% da quando la BCE ha annunciato tassi negativi

Il pensiero di Danielle di Martino, Ceo di Quill Intelligente racchiude quello di molti critici nei confronti dell’operato della BCE: “Stai praticamente prendendo a calci un animale ferito mentre è in calo. I tassi di interesse negativi hanno semplicemente annientato le banche europee”.

Se invece si analizza il pensiero degli economisti a favore dell’operato della banca centrale europea, i tassi negativi, insieme a ingenti acquisti di attività, hanno contribuito a sollevare il mercato azionario e hanno reso più semplice il prestito da parte delle aziende. Ciò ha probabilmente contribuito a rafforzare la fiducia tra famiglie e imprese per aumentare le proprie spese.

I tassi negativi hanno favorito la crescita del credito tra le famiglie europee.

Secondo questi ultimi quindi, l’economia europea sarebbe in condizioni ancora peggiori senza tassi negativi. Una maggiore disoccupazione e perdite sui prestiti sarebbero sicuramente negative per le banche della zona euro, inclusa Deutsche Bank.

Ma è impossibile provarlo. Nessuno sa con certezza come l’economia avrebbe agito in un ambiente diverso.

Alcuni sostengono che consentire all’economia di cadere in una recessione potrebbe essere salutare, anche se è doloroso. Questo è ciò che accade nei cicli economici. Le flessioni scuotono le aziende più deboli, lasciando più spazio a quelle più sane. I tassi negativi fanno il contrario, mantenendo in vita le cosiddette società “zombi”.

“Cosa c’è che non va in una recessione?” chiese Sherman. “Il capitalismo afferma che le cose sconsiderate dovrebbero andare a zero”.

Draghi ha comunque annunciato che gli obiettivi di politica monetaria non sono stati raggiunti nell’ultimo anno e che bisognerà continuare sulla linea dei tassi negativi per ottenere l’obiettivo di inflazione inferiore ma intorno al 2%.

Sarà giusto continuare sulla strada già intrapresa?

Consigli finanziari fine Luglio 2019

Il mese di Giugno e inizio Luglio per gli investitori sono stati eccezionali: gli utili sono aumentati, le prospettive di aumento anche. Le banche centrali, europea e americana, hanno giocato un ruolo fondamentale, annunciando politiche monetarie espansive nei mesi a venire. Una conferma in Europa, un nuovo percorso in America. Molti si chiedono fino a quando le banche centrali potranno continuare in questo percorso di taglio dei tassi. Di fatto fino a quando il ciclo economico lo permettera´, in particolare fino a quando a una politica monetaria espansiva non seguira´ nel medio termine un aumento dei prezzi eccessivo. In Europa il problema e´ semmai ancora contrario. Il raggiungimento del prefissato 2 per cento del livello di inflazione e´ tutt´ora sotto il mirino della BCE, che ha pronti nuovi strumenti di quantitative easing nel caso in cui l´obiettivo si dovesse allontanare.

La guerra dei dazi tra l´America e la Cina sembra essersi allentata, ma stando a guardare i dati sembrerebbe che entro la fine del 2019 ci possa essere una crisi. Intendiamoci, non una vera e propria crisi come quella del 2008. Si potrebbe meglio parlare di un rallentamento globale, che portera´ a minori guadagni per chi vuole investire in borsa.

Chiaramo bene le cose. Il mercato sta andando bene, per questo potrebbe essere che questa crisi verra´ posticipata. I segnali vengono dai tassi di interesse che sono crollati ( anche in Italia, finalmente, viene da dire), sia sui titoli pubblici che sui titoli aziendali. Il valore delle obbligazioni e´aumentato di 8 miliardi.

Qualsiasi critica a livello sociale si possa fare a Trump, non si puo´ non ammettere come i dati gli diano ragione: l´economia statunitense cresce, aumentano i consumi, gli investimenti e la disoccupazione continua a decrescere..

In termini di analisi tecnica, il consiglio e´di puntare sui settori che ormai da tempo stanno facendo molti utili come quelli dell´energia elettrica e dell´energia eolica. Oltre all’aumento dei tassi delle obbligazioni, ancora comunque non altissimi, si nota una crescita degli investimenti non usuali, investendo in tutto cio´ che non e´ azioni, vale a dire quadri, opere, macchine, prodotti di lusso..

Titoli consigliati: The Walt Disney, Leonardo, Zignago Vetro, Google, Uber, IPO Pinterest.

Maneggiare con cautela. E attenzione ai rischi che potrebbero nascere ad Agosto 2019 ( nel prossimo articolo ).

Ci sara´ una crisi nel 2019? Personalmente penso di no, ma potrebbe essere solo rimandata e incombere da un momento all´altro.

Dopo la tempesta, le acque si sono calmate.. almeno per ora

La situazione economica mondiale sta affrontando una fase di stallo. La crescita strutturale dell’economia e’ sostanzialmente bloccata, ma le borse nelle ultime settimane stanno andando molto bene. Gli investitori hanno spinto molto sull’acceleratore, tanto che e’ intelligente chiedersi fino a che punto ci si potra’ aspettare un aumento dei prezzi. Anche in Italia la situazione e’ migliorata. Lo spread e’ in continua diminuzione: la vendita di buoni del tesoro ha superato ogni aspettativa, e questo ha permesso allo stato di incassare 17 miliardi di euro. Non male per un paese che fino a qualche settimana fa rischiava di essere messo sotto processo per infrazione dall’Ue.

Quali sono i motivi di questa spinta rialzista inaspettata? Sostanzialmente uno: gli annunci di politica monetaria dell’uscente presidente Mario Draghi, che ha ricordato come la BCE abbia ancora il quantitative easing nel cassetto degli attrezzi, come arma potenziale per raggiungere gli obiettivi di inflazione fissati a un livello inferiore ma prossimo al due per cento. Annunci come questo sono chiamati forward guidance. Nulla cambia. Ma e’ molto utile per rilassare i mercati.

Per quanto riguarda l’Italia si aggiungono altri due fattori. Innanzitutto lo scampato pericolo di una procedura d’infrazione da parte dell’Ue. Eliminata la paura che l’Italia possa uscire dall’Euro, gli investitori si sono tranquillizzati ed iniziano ad investire. Inoltre, cosa ancora piu’ importante dal punto di vista dei guadagni, gli elevati rendimenti che i titoli italiani offrono rispetto a quelli di altri paesi europei (che purtroppo mostra pero’ come l’Italia sia ancora lontana da un pieno recupero della stabilita’ economica) attraggono molti investitori e fondi internazionali i quali vedono ora nell’Italia un porto piu’ sicuro per depositare i capitali con interessi ben superiori alla media, o semplicemente speculare per avere guadagni maggiori nell’immediato.

Risultato finale? Le acqua si sono calmate, ma lo scenario economico, condito da una politica sempre piu’ protezionista, ci consiglia di restare cauti e di non cantare vittoria.

La situazione economica italiana: un mix di errori ed eccessivo ottimismo. Una breve sintesi di cause ed effetti.

La situazione economica dell’Italia è piuttosto drammatica. Il paese sta affrontando ormai da anni una tendenza del ciclo economico strutturalmente bloccata, che nessun governo è ancora riuscito a sbloccare. La causa più grande è additabile all’elevato debito pubblico che è stato accumulato negli anni antecedenti l’ingresso dell’Italia nell’Euro.

Attualmente è opinione di vari politici, pensatori ed economisti che i limiti imposti dal trattato di Maastricht nel 1992 ai conti pubblici dei vari paesi sono da superare, se si vuole far riprendere in modo vigoroso la crescita. Se da un lato è vero che il famoso limite del tre per cento al disavanzo annuale non fu scelto sulla base di alcuna analisi scientifica, è altresì da sottolineare come i governi che si sono succeduti a cavallo dei due secoli non si sono mai posti limiti alle spese. La differenza tra l’Italia e altri paesi con elevati debiti pubblici nel corso del ventesimo secolo come il Regno Unito, la Svezia, il Canada e il Belgio è che questi ultimi hanno mantenuto un livello di debito che ha permesso di affrontare la crisi del 2008 con più tranquillità. Ovviamente per ogni paese è difficile affrontare una crisi finanziaria internazionale. Ma farlo con livelli di debito più bassi può aiutare. Così è accaduto. L’Italia si è fatta trovare impreparata alla grande crisi del 2008.

Cosa fare ora? Si può sostenere che, anche se l’Italia potrebbe aver bisogno di una spinta fiscale, semplicemente non ha più lo spazio fiscale per farlo, visto il già ingente onere del debito pubblico: aumentare ulteriormente le spese metterebbe in discussione la sostenibilità del debito.

Il problema di questo argomento è che il rapporto debito / PIL dipende molto da come il PIL cresce. Tuttavia, quest’ultimo non è invariante rispetto alla posizione fiscale.

Un’austerità più dura potrebbe invece essere controproducente se la crescita del PIL venisse danneggiata più della crescita del debito. Basti pensare al paradosso di Keynes: l’economia è un intero, cioè non è come una singola famiglia: cercare di spendere di meno e risparmiare di più può effettivamente portare a un risparmio minore con la caduta dei redditi.

Se uno stimolo fiscale riuscisse a riportare l’economia al suo trend di crescita, o meglio ancora, a migliorare il potenziale di crescita a lungo termine del paese, migliorerebbe effettivamente la sostenibilità del debito. Questo è il motivo per cui i bassi tassi di crescita italiani non sono un argomento di austerità, sulla base del fatto che un paese a bassa crescita può solo sostenere un debito minore.

Sono piuttosto un argomento di stimolo, perché il debito non può essere sostenuto con una crescita bassa. Caso esemplare è quello della Grecia che, dopo anni di severa austerità, ha perso un quarto del suo PIL. Il suo rapporto debito / PIL è ora più alto di prima, anche dopo una sostanziale cancellazione del debito.

Un contesto di tassi di interesse prossimi allo zero come quello attuale, confermato nuovamente da Mario Draghi fino alla fine del primo semestre del 2020, dovrebbe autofinanziarsi, anche se contribuisce a una crescita del PIL nominale solo leggermente positiva. Naturalmente, l’Italia paga sulle obbligazioni un premio considerevole rispetto al tasso di interesse della BCE, ma una buona parte di tale spread potrebbe essere eliminata con una rivisitazione delle regole riguardanti l’euro e i paesi membri.

Diversi commentatori sollevano anche la questione dell’equità intergenerazionale, affermando che spendere di più oggi indebitando le generazioni future è immorale. Anche se il debito pubblico non dovesse mai essere rimborsato per intero, il costo degli interessi per la manutenzione di una così grande fetta del debito può essere un onere considerevole per il futuro.

Mentre questo può essere vero, questo costo deve essere scambiato contro gli enormi costi della continua austerità attuale. Va anche notato che una larga parte del debito italiano è detenuta a livello nazionale, quindi i pagamenti degli interessi non sono un grosso onere per l’economia nel suo complesso (anche se portano a una redistribuzione).

Inoltre, come sottolineato sopra, lo stimolo fiscale oggi può effettivamente migliorare la sostenibilità del debito per le generazioni future, ponendo una fine più rapida a un periodo di crescita debole. Inoltre, è piuttosto un’austerità continua che è intergenerazionalmente ingiusta: mantenendo il tasso di disoccupazione giovanile del 30% e contribuendo all’effetto di isteresi, una generazione di giovani italiani avrà difficoltà a passare dalla scuola alla vita lavorativa, perdendo l’opportunità di acquisire abilità e danni permanenti alla carriera e alle prospettive di guadagno. Gli effetti dannosi dell’austerità potranno risuonare nei decenni a venire.

Stefano Grancini